Il Turno

Luigi Pirandello

 

 

 

 

 

eISBN: 9783963617614

©2018 Mauro Liistro Editore

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I

 

Giovane d'oro, sì sì, giovane d'oro, Pepè Alletto! - il Ravì si sarebbe guardato bene dal negarlo; ma, quanto a concedergli la mano di Stellina, no via: non voleva se ne parlasse neanche per ischerzo.

- Ragioniamo!

Gli sarebbe piaciuto maritar la figlia col consenso popolare, come diceva; e andava in giro per la città, fermando amici e conoscenti per averne un parere. Tutti però, sentendo il nome del marito che intendeva dare alla figliuola, strabiliavano, strasecolavano:

- Don Diego Alcozèr?

Il Ravì frenava a stento un moto di stizza, si provava a sorridere e ripeteva, protendendo le mani:

- Aspettate... Ragioniamo!

Ma che ragionare! Alcuni finanche gli domandavano se lo dicesse proprio sul serio:

- Don Diego Alcozèr?

E sbruffavano una risata.

Da costoro il Ravì si allontanava indignato, dicendo:

- Scusate tanto, credevo che foste persone ragionevoli.

Perché lui, veramente, ci ragionava su quel partito, ci ragionava con la più profonda convinzione che fosse una fortuna per la figliuola. E s'era intestato di persuaderne anche gli altri, quelli almeno che gli permettevano di sfogare l'esasperazione crescente di giorno in giorno.

- Avete voluto la libertà, santo Dio! il re che regna e non governa, la leva per tutti, un esercito formidabile, ponti e strade, ferrovie, telegrafo, illuminazione: cose belle, bellissime, che piacciono anche a me: ma si pagano, signori miei! E le conseguenze quali sono? Due, nel caso mio.

Numero uno: ho lavorato come un arcibue, tutta la vita, onestamente per mia disgrazia e non son riuscito a mettere da parte tanto da poter per ora maritare la figlia secondo il suo piacere, che sarebbe anche il mio.

Numero due: giovanotti, non ce n'è: intendo dire di quelli che a un padre previdente possano assicurare, sposando, il benessere della figliuola: prima che si facciano una posizione, Dio sa quel che ci vuole; quando se la son fatta, pretendono la dote e fanno bene; senza posizione, in coscienza, quale padre affiderebbe loro la figlia? Dunque? Dunque bisogna sposare un vecchio, vi dico, se il vecchio è ricco. Di giovani poi, volendo, alla morte del vecchio, ce n'è quanti se ne vuole.

Che c'era da ridere? Parlava da senno, lui! Perché:

- Ragioniamo...

Se don Diego Alcozèr avesse avuto cinquanta o sessant'anni, no: dieci, quindici anni di sacrifizio sarebbero stati troppi per la figliuola; ed egli non avrebbe mai accettato quel partito. Ma ne aveva, a buon conto, settantadue, don Diego! E non c'era dunque da temer pericoli di nessuna sorta. Più che matrimonio, in fondo, sarebbe quasi una pura e semplice adozione. Stellina entrerebbe come una figliuola in casa di don Diego: né più né meno. Invece di stare in casa del padre, starebbe in quell'altra casa, con più comodi, da padrona assoluta: casa d'un galantuomo alla fin fine: nessuno osava metterlo in dubbio, questo. Dunque, che sacrifizio? Aspettare qua o là. Con questa differenza, che aspettare qua, in casa del padre, sarebbe tempo perduto, non potendo egli far nulla per la figliuola; mentre, aspettando là, tre, quattr'anni...

- Mi spiego? - domandava a questo punto il Ravì, abbagliato lui stesso dalle sue ragioni e sempre più convinto.

Don Diego Alcozèr aveva già preso quattro mogli? E che per questo? Tanto meglio, anzi!

Stellina non sarebbe così sciocca da farsi (e squadrava le corna) sotterrare dal vecchio, come le altre quattro:

col tempo e con la mano di Dio avrebbe lei, invece, composto in pace il corpo del marito benefattore, e allora, ecco, allora sì il giovanotto! Bella, ricca, allevata come una principessina, sarebbe stata un vero panin di zucchero; e i giovanotti, così, a sciame, come le mosche, attorno a lei.

Gli pareva impossibile che la gente non si capacitasse di questo suo ragionamento: era caparbietà, cocciutaggine, arrestarsi a considerar soltanto il sacrifizio momentaneo di quelle nozze col vecchio. Come se oltre quello scoglio, oltre quella secca, non ci fosse il mare libero e la buona ventura! Lì, lì, bisognava guardare!

Se egli fosse stato ricco, se avesse potuto far da sé la felicità della figliuola - bella forza! si sa, non l'avrebbe data in moglie a quel vecchiaccio. Stellina certo, per il momento, non poteva apprezzare la fortuna che egli le procacciava: questo era naturale e in certo qual modo scusabile! Di lì a pochi anni però - ne era sicuro - ella lo avrebbe lodato, ringraziato e benedetto. Non sperava, né desiderava nulla per sé, da quel matrimonio; lo voleva unicamente per lei, e stimava dover suo di padre, dover suo di vecchio provato e sperimentato nel mondo, tener duro e costringere la figliuola inesperta a ubbidire. Lo amareggiava invece profondamente la disapprovazione di uomini d'esperienza come lui.

- In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, - si lamentava intanto, in casa, la moglie del Ravì, la si-donna Rosa, accennando il segno della croce con un gesto che le era abituale e che ripeteva ogni qual volta si sentiva infastidita e urtata nella gravezza della sua gialla carne inerte: - Lasciatelo fare. Ciò che fa Marcantonio, per me, è ben fatto, - diceva ai parenti che sottovoce le facevan notare la mostruosità di quel progetto di nozze.

- Peccato mortale, si-donna Rosa! - s'affannava a ripeterle Carmela Mèndola, portavoce del vicinato, parlando quasi con la strozza, per non gridare, e dandosi pugni rintronanti sul petto ossuto: - Se lo lasci dire, in coscienza: peccato mortale, che grida vendetta davanti a Dio !

 

E, tutta scalmanata, si scioglieva e si rannodava sotto il mento le cocche del gran fazzoletto rosso di lana che teneva in capo.

La si-donna Rosa stringeva le labbra, sporgeva il mento, chiudeva gli occhi e soffiava per il naso un lungo sospiro.

 

 

II

 

Don Diego Alcozèr già si faceva vedere per la città in compagnia del futuro suocero.

Marcantonio Ravì, bonaccione, grasso e grosso, col volto sanguigno tutto raso e un palmo di giogaja sotto il mento, con le gambe che parevan tozze sotto il pancione e che nel camminare andavano in qua e in là faticosamente, sembrava fatto apposta per compensar don Diego fino fino, piccoletto, che gli arrancava accanto con lesti brevi passetti da pernice, tenendo il cappello in mano o sul pomo del bastoncino, come se si compiacesse di mostrar quell'unica e sola ciocca di capelli, ben cresciuta e bagnata in un'acqua d'incerta tinta (quasi color di rosa), la quale, rigirata, distribuita chi sa con quanto studio, gli nascondeva il cranio alla meglio.

Niente baffi, don Diego, e neppur ciglia: nessun pelo; gli occhietti calvi scialbi acquosi. Gli abiti suoi più recenti contavano per lo meno vent'anni; non per avarizia del padrone, ma perché, ben guardati sempre dalle grinze e dalla polvere, non si sciupavano mai, parevano anzi incignati allora allora.

Così, ahimè, s'era ridotto uno dei più irresistibili conquistatori di dame in crinolino del tempo di Ferdinando II re delle Due Sicilie: cavaliere compitissimo, spadaccino, ballerino.

Né i suoi meriti si restringevano solo qui, nel campo, com'egli diceva, di Venere e di Marte:

don Diego parlava il latino speditamente, sapeva a memoria Catullo e la maggior parte delle odi di Orazio:

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem dî dederint...

Ah, Orazio; da lui, suo prediletto poeta, don Diego aveva desunto le norme epicuree. Aveva goduto tutta la vita e voleva fino all'ultimo godere; odiava perciò la solitudine, nella quale si sentiva spesso turbato da paurosi fantasmi, e amava la gioventù, di cui cercava la compagnia, sopportandone filosoficamente gli scherzi e le beffe.

Ecco: batteva il pomo d'argento del bastoncino d'ebano sul tavolinetto innanzi al Caffè del Falcone, mentre il Ravì si lasciava cader su la seggiola che scricchiolava, e sbuffando e buttandosi su la nuca il cappellaccio a larghe tese, si asciugava il sudore dalla faccia paonazza.

- A me, al solito, - diceva l'Alcozèr al cameriere, - un'orzata.

E accompagnava la ordinazione con una risatina fredda, superflua, accennando di stropicciarsi le manine gracili e tremule: - Eh eh...

Seduti al Caffè, ripigliavano il discorso del matrimonio, interrotto di tanto in tanto dai saluti che don Marcantonio distribuiva a voce alta e con larghi gesti a gl'innumerevoli suoi conoscenti:

- Baciamo le mani! La grazia vostra! Servo umilissimo!

Don Diego non era ancora potuto entrare in casa della promessa sposa. Stellina minacciava di graffiargli la faccia, di cavargli tutti e due gli occhi, se egli si fosse arrischiato di presentarsi a lei. Il Ravì, s'intende, non parlava a don Diego di queste minacce della figliuola; diceva soltanto che bisognava avere un po' di pazienza, perché le ragazze, oh Dio, si sa...

- Bene bene; quando dici tu, o meglio, quando Stellina permetterà... intra paucos dies, spero, cupio quidem, - rispondeva don Diego, tranquillo e sorridente. - Intanto, guarda, per oggi le porterai questo qui.

E traeva dalla tasca un astuccetto di velluto.

 

Oggi un braccialetto, jeri un orologino con la catenina d'oro e di perle, e prima un anellino con perle e brillanti e una spilla di smeraldi o un pajo di orecchini... L'Alcozèr non spendeva nulla; non per avarizia: aveva tante gioje delle defunte mogli: che doveva farsene? Le mandava alla nuova fidanzata, ripulite dall'orefice, chiuse in astuccetti nuovi.

Marcantonio Ravì profondeva lodi, esclamazioni ammirative, ringraziamenti.

- Ma voi così, don Diego mio, ci confondete...

- Non ti confondere, asino! Ho esperienza del mondo e so che i regali ci vogliono.

Don Marcantonio si cacciava in tasca il dono e sbuffava dalla stizza per la caparbia ostinazione della figliuola, che, pur di non cedere, si contentava di star chiusa in una camera, assediata, rifiutando anche il cibo.

La madre stava di guardia presso l'uscio di quella camera, come una sentinella. Venivano i parenti, la Mèndola o qualche altra vicina a tentare ancora di metterla sù contro il marito, ma ella tornava col solito gesto ad accennare il segno della croce.

- In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo! Non mi mettete altra legna sul fuoco: me ne manca forse, donna Carmela mia? Vedete in quale inferno mi trovo?

- Zia Carmela! - chiamava Stellina, dietro l'uscio.

- Figlia mia bella, che vuoi?

- Dica a sua figlia Tina che si affacci alla finestra: voglio farle vedere una cosa.

- Sì, cuore mio bello! Or ora glielo dico. Coraggio, cuore mio! Pìgliati quest'involtino: te lo faccio passare di sotto l'uscio. Mangia, che ti piacerà.

- Tante grazie, zia Carmela!

- Niente, figliuola cara. E tieni duro, tieni duro! non ci vuol altro...

La si-donna Rosa lasciava dire e lasciava fare. E ogni giorno, appena il marito rincasava, gli rivolgeva la solita domanda:

 

- Debbo? - E con la mano faceva il gesto di mandar la chiave per aprire l'uscio.

- No! - le gridava egli. - Stia lì, lì, brutta ingrata! cuor di macigno! Come se non lo facessi per lei, per il suo bene! Tieni: un altro regalo, un braccialetto... faglielo vedere!

La si-donna Rosa si alzava, chiudeva gli occhi, sospirava e, con l'astuccetto in mano, entrava nella camera della figliuola.

Stellina se ne stava presso il letto, accoccolata per terra, sul tappetino, come una cagnetta ringhiosa. Strappava di mano alla madre il regalo e lo scaraventava a terra.

- Grazie tante, non lo voglio!

La madre allora perdeva la pazienza anche lei.

- Sedici onze di braccialetto, asinaccia! Non sei neanche degna di guardarla tanta grazia di Dio!

Stellina, appena uscita la madre, stropicciava il gomito del braccio sinistro sulla palma della mano destra e diceva a denti stretti:

- Rodetevi! Rodetevi!

Poi si ricomponeva la veste su le gambe, si alzava da sedere, gironzava un po' per la camera e, finalmente, eccola lì, presso il cassettone a guardar sottecchi il regalo raccattato dalla madre. La curiosità era più forte della repulsione per il vecchio donatore.

Si guardava nello specchietto a bilico, si rialzava i capelli dietro la nuca e sorrideva alla propria immagine: il visetto fresco e leggiadro apriva in quello specchio due occhi azzurri limpidi e gaj. Con quel sorriso, pareva sussurrasse a se stessa: «Birichina!». E le veniva la tentazione di aprire quegli astucci, di provarsi... via, almeno gli orecchini... per un minuto, gli orecchini.

- No, questo è l'anello... M'andrà certo troppo largo... No, preciso! oh guarda... par fatto apposta per il mio dito...

E si ammirava la manina bianca inanellata, avvicinandola, allontanandola, piegandola or di qua or di là. E poi gli orecchi con gli orecchini, e poi i polsi coi braccialetti, e poi sul seno la lunga catena d'oro dell'orologino; e, così parata, andava a farsi un profondo inchino allo specchio dell'armadio:

- A rivederla, signora Alcozèr!

E una gran risata.